Come sta il mondo del lavoro? Intervento del segretario provinciale della CGIL Davide Masera

Siamo ancora in piena pandemia, ci troviamo di fronte ad una macelleria sociale e una recessione economica che non accennano a finire. 

E’ uscito il Rapporto del CNEL sul mercato del lavoro che scatta una fotografia impietosa dello stato dell’occupazione in Italia. Nella nostra provincia il lavoro è sempre più frammentato e precario, il lavoro dipendente a tempo indeterminato ha retto finora l’urto della pandemia solo grazie ad un ricorso eccezionale agli ammortizzatori sociali. 

Fin ora ci ha salvati la proroga del  blocco dei licenziamenti, alla scadenza però potrebbero aprirsi scenari sociali molto pesanti e senza la riforma degli ammortizzatori sociali, rischiamo di superare i 400 mila posti di lavori persi in un anno e di dover affrontare situazioni ancora più gravi. Nel nostro Paese, che si caratterizza per un mercato del lavoro fragile e diviso, la pandemia ha amplificato le diseguaglianze sia interne che esterne. Da una parte abbiamo infatti un mondo del lavoro ancora più frammentato con punte di grave fragilità, dall’altra la crisi globale ci sta allontanando dall’Europa, nei cui Paesi ci sono tassi di occupazione da tempo migliori dei nostri e nei quali già da tempo sono state messe in campo nuove politiche attive, in grado di contrastare gli effetti economici della pandemia. 

E’ necessaria anche una rivoluzione delle priorità quando si parla di politiche dell’occupazione. Le donne ad esempio, nel cuneese e non solo, stanno pagando di più la crisi, per motivi differenti ma correlati.  

In primis è necessario specificare che i settori maggiormente colpiti, vedasi il turismo, la cultura, pulizie e ristorazione, il commercio, sono quelli nei quali le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro. 

Secondo, in mancanza di welfare, l’occupazione femminile è fortemente penalizzata dalla scelta obbligata delle  donne,  tra lavoro fuori casa e lavoro di cura familiare. Perché purtroppo sono quasi sempre le donne a dover rinunciare al lavoro per garantire assistenza e cura alla famiglia, ai figli e agli anziani non autosufficienti. 

Terzo lo svantaggio conseguente all’essere inquadrate nei settori del lavoro povero e precario che, come sempre,  è il primo ad essere falcidiato. In questo senso stiamo assistendo ad un vero e proprio ritorno al passato nel processo di emancipazione femminile, per questa ragione il tema dell’occupazione femminile, come quella giovanile, deve essere messo al centro delle scelte politiche da definirsi.

Nella nostra provincia il lockdown ha condizionato il mercato del lavoro in modo rilevante, nonostante la crescita registrata nei mesi estivi e le assunzioni che avevano ripreso a salire velocemente. Nel periodo giugno/settembre infatti la produzione industriale era aumentata, in particolare nelle medie e grandi aziende, mentre il dato preoccupante continua a riflettere una crisi pesante della piccola impresa. 

    Dati questi che ci danno la conferma di quanto sosteniamo da anni, il “piccolo è bello” caratteristico della nostra provincia, non regge più, sia in termini di prodotto che di produzione.   

    Nell’albese ci sono alcune situazioni critiche: quella della Miroglio, dovuta alla crisi del tessile, ma anche ad alcune scelte aziendali sbagliate. Poi la Mondo che ha deciso di delocalizzare la produzione del pallone. Una scelta difficile da comprendere, in quanto aveva chiuso il bilancio del 2019 con un utile di quasi 11 milioni e la produzione del pallone aveva fatto la sua parte. Il dato di fatto è che sono stati lasciati a casa 40 lavoratori stagionali (alcuni lavoravano per la Mondo da 20/30 anni) e che negli anni avevano contribuito abbondantemente a produrre la ricchezza dell’azienda e degli azionisti. Il classico caso di responsabilità sociale dell’impresa…

ll nostro Paese è chiamato a una sfida straordinaria, per la prima volta dai tempi del piano Marshall abbiamo l’opportunità di ricostruire, riconvertire e modernizzare l’Italia, le sue strutture industriali, le sue reti infrastrutturali, le sue fonti energetiche, il suo sistema di Welfare. Solo dobbiamo ragionare in modo diverso. 

Non possiamo ritornare alla situazione precedente, questa è l’occasione per considerare il futuro nostro e delle prossime generazioni partendo dal riconoscimento di quanto è già realtà. Due spunti esemplificativi da cui partire per un confronto utile e costruttivo sono senza dubbio  la drammatica emergenza climatica e  la forte accelerazione impressa alla  rivoluzione digitale.  

Tutti speriamo che si torni alla normalità per quel che riguarda il lavoro, la scuola e il tempo libero. L’economia, la visione generale, non devono tuttavia avere come obiettivo  il ritorno alla situazione di prima, perché piena di difetti. 

L’Italia è un Paese in declino, ripensarne il modello di sviluppo vuol dire programmare un destino diverso per il nostro Paese e per rispondere ai  problemi del lavoro, del welfare, delle diseguaglianze crescenti, ad essere chiamata in campo è la politica,  con progetti, visioni, scelte, priorità differenti.

Naturalmente la CGIL non pensa che la valanga di miliardi del recovery fund sarà lo strumento che all’improvviso cambierà il Paese, ormai fermo da più di vent’anni, ma può essere il mezzo che offre la possibilità di fare investimenti su terreni delicati ed essenziali per la ricostruzione. La CGIL chiede che l’utilizzo di queste risorse vada nella direzione di un nuovo modello di sviluppo, sostenibile ambientalmente e socialmente, finalizzato alla creazione di lavoro e di rafforzamento dello Stato sociale.

                    Davide Masera, Segretario Provinciale CGIL Cuneo

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