Anno 2021: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro?

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Così recita l’articolo 1 della nostra Costituzione.

Ma cosa significa, oggi, ai tempi del Covid la parola lavoro?

Assume connotazioni nuove o poco diffuse solo 12 mesi fa, come un tempo prolungato dedicato al proprio impiego e senza straordinari per i più fortunati, oppure l’assenza di una attività lavorativa con il ricorso alla Cassa integrazione o ai ristori. Per qualcun altro, invece, si è tradotto in un contratto non rinnovato o in assenza di lavoro. L’Istat afferma che il mercato del lavoro del 2020 è stato fortemente e diversamente influenzato dalla pandemia. Evidenzia, infatti, come gli occupati nel primo anno della pandemia, tra febbraio 2020 e febbraio 2021, siano 945 mila in meno. Un crollo che coinvolge uomini e donne, dipendenti (590mila) e autonomi (355mila) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione, in un anno, è sceso di 2,2 punti percentuali con una forte crescita del numero di inattivi.

Per comprendere meglio questi dati, abbiamo fatto ricorso a 3 storie di persone del nostro territorio, per conoscere dalla loro voce come la propria esperienza professionale sia cambiata in questo periodo di pandemia.

Coppia, lavoratori nel privato, cassa Integrazione e smart working

Posso affermare che la mia vita si sia adattata alla diversa situazione, senza cambiare i miei interessi e il mio orientamento esistenziale generale nel concepire la vita stessa e le sue componenti: lavoro, affettività di coppia, socialità e tempo libero. Senz’altro alcune trasformazioni sono state radicali, ad esempio l’interruzione quasi totale del pendolarismo casa-lavoro, l’impossibilità di frequentare il cinema o altri eventi pubblici. Però complessivamente ho trovato il modo di affrontare diversamente i molteplici ambiti di vita. Nel mio caso, il lavoro da remoto è stato l’occasione per far “vedere” alla mia azienda che volendo possiamo effettivamente introdurre forme gestite di Smart Working. Inoltre, per me è stata l’opportunità di migliorare la qualità di vita diminuendo i tempi dedicati al pendolarismo e al contempo di ridurre i costi di viaggio e pasto fuori casa. È comunque doveroso riferire che sono stato facilitato nel lavoro da remoto. In primo luogo perché lavoravo già per progetti e obiettivi, anche in presenza o presso clienti. In secondo luogo perché siamo coppia senza figli e senza altri carichi familiari di genitori anziani o parenti prossimi da curare (persone care che ci hanno lasciato prima della pandemia). Non nascondo comunque che, come coppia, abbiamo dovuto reinventarci a causa del mio lavoro da remoto e della ciclica e prolungata cassa integrazione della mia compagna che lavora nel comparto ristorazione.

Sinceramente auguro a me ed agli altri che tutto non torni come prima. Anzi rispetto al futuro mi fa paura il desiderio o il pensiero latente di “ricopiare” un passato che è stato, ma che non c’è più. Prima non c’era il bene o il male assoluto, oppure la presenza di stili di vita assolutamente benefici per le persone.

Il ricorso alla cassa integrazione è stato necessario nel primo lockdown e per un certo periodo del 2020: prima per l’interruzione drastica delle attività, in seguito per una ripresa lenta delle attività in presenza e il calo di acquisizioni di nuove commesse importanti. Nel 2021 la CIG si è protratta come un’onda lunga. Se nel 2020 è stata per certi versi necessaria, nel 2021 poteva essere gestita diversamente. Nel nostro caso per una sorta di egualitarismo, o forse semplificazione, è stata spalmata in modo omogeneo al 98-99% del personale dipendente. Secondo me, invece, poteva essere più mirata e differenziata, rinunciando a contenere alcuni costi con la CIG ed assegnando chiari compiti riorganizzativi e di sviluppo commerciale e innovativo. A mero titolo di esempio a fronte di 8 ore di GIG settimanali, si potevano assegnare 4 ore di CIG e 4 ore a progetti interni per la riorganizzazione del modello di business per affrontare meglio la transizione alla post pandemia.

Donna, dipendente pubblico, smart working

La mia vita è cambiata perché lavoro molto di più ed esco molto meno.

Le disfunzioni organizzative che la pandemia comporta rispetto al lavoro fanno sì che, se già eri abituato a un elevato impegno, alla fine lavori di più. Il lavoro è aumentato e richiede tempi più lunghi. Lo smart working fatto in troppa solitudine è disfunzionale perché, salvo attività molto individuali, non puoi non interfacciarti con i colleghi. Alcuni, ancora oggi, non si sono attrezzati o non sanno ancora utilizzare a pieno la tecnologia e alla fine i tempi si dilatano perché tutto è diventato più complicato.

Io spero che la lezione appresa durante la pandemia serva. Occorre cogliere questa occasione per colmare il gap tecnologico che ancora ci contraddistingue. Abbiamo digitalizzato già molti procedimenti ma diversi processi sono ancora da “ingegnerizzare”, per diventare più efficienti e veloci. Il lavoro non sarà più come prima ma servirà una managerialità diversa, con dirigenti che sappiano incidere sui processi di lavoro.

Ho riscontrato una grande differenza con amici e amiche occupati in piccole imprese che hanno sempre richiesto la presenza. Ma attenzione, non è possibile fare tutto da casa, soprattutto per i lavori in team. Non è sufficiente fare la “skypata” per dire di lavorare in gruppo. Serve un giusto mix di presenza e on-line, perché le relazioni e l’apporto individuale delle persone sono imprescindibili. Lavorare in troppa solitudine non è bello perché non alimenta il clima organizzativo e il benessere individuale.

Occorre anche pensare al diritto alla disconnessione, per evitare tutte giornate da 10 ore, e a compensazioni contrattuali. Sono tante le persone che hanno avuto un calo di retribuzione, per il venire meno di straordinari e altre sovvenzioni, a fronte di maggiori spese.

Uomo, ambulante al mercato

Molteplici pensieri vengono a porsi su quello che la pandemia ha cambiato… Stile di vita sedentario nella prima ondata, preoccupazione per l’andamento della mia azienda, soluzioni da attuare per non farsi trovare impreparato all’ipotetica ripartenza con cambiamenti sostanziali riguardo a salute e sicurezza sul lavoro. Pensieri e progetti giornalieri a salvaguardia di tutto ciò che rimane dei contratti lavorativi in essere per cercare di portarli a termine, nel più breve tempo possibile. Tutto ciò ha condizionato non poco la mia vita e quella della mia famiglia. Ansia, crisi di panico ma anche voglia di rimanere in piedi senza mai mollare!!!

Penso veramente che tutto questo ‘’grosso guaio’’ abbia messo a nudo sostanziali problematiche del nostro paese. Burocrazia, differenze sociali, meritocrazia soffocata, inquinamento e altre problematiche evidenti che i media già sottolineavano andranno obbligatoriamente affrontate con giusto piglio dai governanti (nuovi o vecchi che siano). Questo, secondo me, sarà il nuovo modo per creare nuove prospettive di vita più sostenibili, ma occorrerà che ci governa capisca che ‘’loro‘’ non sono un’élite distinta ma persone facenti parte della popolazione normale, con le stesse esigenze e problematiche.

Sono soddisfatto di ‘’esser sopravvissuto’’ con i sostegni che mi sono stati dati, ne avrei voluti di più e spero di poterne avere ancora ma, sostanzialmente, avrei preferito avere più aiuti dalle banche. Probabilmente sarebbe stato molto più facile aver già sotto la piastrella, in casa, un buon gruzzoletto e non averne bisogno urgente. Forse così i ristori sarebbero arrivati!!! Personalmente una regolamentazione sulle tasse future e un aiuto su cartelle di riscossione a me avrebbero giovato di più piuttosto dei sostegni arrivati, ma occorre fare, di necessità virtù!!! Ad ogni azione corrisponde una reazione! Mai mollare! 

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