Abbiamo fame di conoscenza
La gestione dei beni artistici e culturali volano per l’economia del Paese e sprone per un maggior senso civico
La cultura (sia essa antropologica oppure il risultato di letture e di uno studio diretto degli eventi passati e presenti) è il più grande tesoro che una comunità possa avere. Quante volte ci è stata ricordata, soprattutto da importanti personalità che hanno arricchito il nostro patrimonio artistico, l’immensa fortuna che abbiamo avuto di nascere in Italia, una nazione per secoli divisa politicamente, ma nei cui stati regionali le varie capitali emersero quali nuovi centri che attirarono i migliaia di talenti. Artisti, letterati e studiosi hanno portato il nostro Paese, anche se per un breve periodo, ad esercitare un’egemonia culturale in tutta Europa che ci ha lasciato in eredità numerose opere artistiche che oggi consentono al settore del turismo di essere in uno dei pilastri fondamentali della nostra economia.
Nonostante tutto però oggi si percepisce a livello generale uno spiccato tasso d’insoddisfazione per la gestione del nostro patrimonio culturale, basti guardare come si lasciano ancora impuniti certi atti di vandalismo e maleducazione da parte di turisti nelle grandi città artistiche: Firenze, Roma, Venezia, Milano. Non sfuggono all’occhio neppure i danni provocati dai continui tagli alla cultura e all’investimento in opere di mantenimento dei beni archeologici e della loro messa in sicurezza da possibili incidenti. Non per nulla un recente sondaggio di Eurostat ha classificato la nostra capitale Roma come la più sporca d’Europa. Eppure in un paese con un patrimonio così grande è inaccettabile continuare a navigare in questa situazione; se vogliamo essere più europei allora dovremmo osservare e prendere spunto da alcuni nostri vicini come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, i quali abbondano di ottimi esempi nei metodi e nei risultai che si possono ottenere con una sana e appassionata gestione. Numerosi sono i loro investimenti nella promozione e nell’educazione al rispetto e al valore del proprio patrimonio artistico e culturale. Questo potrebbe aumentare il senso di civiltà e di appartenenza alla società italiana se venisse applicato anche in misura maggiore da noi, soprattutto tra i giovani, per stimolarli ad essere più curiosi e seguirli nelle loro ricerche.
In Italia a livello locale si possono riscontrare anche buoni esempi che meriterebbero di ricevere più attenzione a livello nazionale e di essere resi più accessibili alla diretta conoscenza di un pubblico vasto. Quanti sanno che a Vinci, in Toscana, c’è un interessantissimo museo sul genio scientifico di Leonardo oltre che alla sua casa natale, anch’essa visitabile? O quanti hanno mai visto i siti archeologici di antichità romana a Susa, con la sua piccola arena? E tanti altri esempi possono essere citati.
L’anno scorso l’ex Presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo e oggi coordinatrice del gruppo Socialisti e Democatici alla Commissione Cultura del Parlamento Europeo, Silvia Costa, si è battuta in prima linea per istituire il 2018 come Anno Europeo del Patrimonio Culturale. In una breve intervista, rilasciata all’open magazine della compagnia di San Paolo, ha spiegato la storia di questo progetto, il cui obbiettivo è “quello di concentrarsi – all’interno della cornice europea – sulla valorizzazione di tutte quelle buone pratiche che sono finalizzate a intervenire e a trasformare il patrimonio culturale in un asset di sviluppo: pensiamo al tema della digitalizzazione culturale, per esempio, ma anche al più ampio discorso del turismo culturale.“ Interessante quando ha notato come “ci si è resi conto che la conoscenza del proprio patrimonio culturale è ancora molto parziale, c’è spazio per ampliarla e per trasformarla in una più diretta partecipazione nella gestione del medesimo. Dal punto di vista dell’innovazione, la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (la cosiddetta Convenzione di Faro) ha uno sguardo molto ampio e orientato verso il futuro: non si parla solo dei settori classici (editoria, architettura, archeologia, audiovisivi), ma di tutto quello che viene definito il patrimonio immateriale (dal folklore alla musica). Inoltre, si innestano discorsi di innovazione tecnologica: l’importanza delle app, della digitalizzazione, del giusto intreccio tra città reale e città virtuale, della nascita di musei virtuali e diffusi. Tutte queste realtà e questa visione della cultura devono entrare nelle strategie di valorizzazione e di sostegno economico da parte dell’Unione Europea.” Tutto questo potrebbe essere un ottimo trampolino di lancio per un progressivo miglioramento della gestione del nostro patrimonio culturale, in cui le nuove tecnologie vengano sfruttate con giudizio ai fini di offrire una più ampia e avvincente conoscenza ai visitatori e ai più curiosi e appassionati di storia, arte, scienza.
Andrea Fenocchio
GDAlba